Milena, dipingendo, doveva inventare la terza dimensione
degli scultori. Solo così, dopo tante esperienze, avrebbe
potuto rispettare le categorie normative e innovative, dal suo
punto di vista, di chi vuole rivolgersi non solo agli amici, ma
al mondo preso nella sua totalità. Non sembri un paradosso
se vogliamo considerare il fare arte non un esercizio meccanico
e mercantile ma un proiettare verso l'alto le esigenze più urgenti
della comunicazione poetica. La scenografia è una finzione
dove la precarietà del materiale e la brevità della
durata comporta sempre una riduzione di limiti e di spazi. Necessitava
andare oltre, cogliere tutto lo spazio, costringerlo a contenere
tutte le direzioni e tutte le immagini, non ricacciando le figure
dal centro ai margini, ma dal davanti all'indietro, dal sopra al
sotto. Vedere le immagini di fronte, su una superficie può essere
riduttivo ai fini di una lettura amorosa delle cose o meglio "dell'esistenza
delle cose", come dice lei. La superficie porta ad un solo
punto di fuga da un centro reale alla periferia, ma qui l'incurvarsi
dei piani crea mille punti e mille fughe.
Perché la Moriani con queste "cestinature" ha imparato il
gusto del riguardare, dello scartocciare: lo imparò un giorno nel recuperare
e riamare un foglio "cestinato" con ira e rimpianto: non fu facile
ricostruire in vetroresina l'immagine di quel "distacco" fisico e
spirituale, lasciarlo accartocciato e dipingervi sopra le sue storie. Anzi:
la sua storia. Le scenografie rigide e accartocciate dovevano alzarsi e volare
e dondolare per ricordarci dell'armonia del muoversi e della fragilità dell'esistere.
Ogni scena esige ora il suo proscenio senza dipendere dalla parete, anche se
gli effetti prospettici sembrano perdere la loro fissità e capovolgersi
per offrirci altre immagini o voltarsi per farci sparire un volto e offrircene
un altro.
Tanti teatrini, tanti scorci, dai fondali insidiosi, con facce che si irradiano
per luoghi molteplici che si celano e riappaiaono, come negli antichi teatri
quando le prime macchine facevano ruotare le scene mobili. Qui non è dipinta
la scena, qui sono dipinte storie di vita, con figure che s'ingobbano o si
dilatano o si concentrano tentando di uscire dai loro piani obbligati per percorrerne
altri e respirare più aria, forse più amore. Ne esce una visone
di notevole ampiezza cosmica: le figure si annunziano come eventi grandiosi
di una cronaca minuscola ma affettuosamente solenne, una Natura che si manifesta
per mani volti occhi. Milena dice di pensare a Spinoza, io vi leggo infatti
la necessità di obbedire alla sostanza del mondo a cui appartiene e
di cui queste opere testimoniano la noiosa tragedia di queste vicende ricordo "Eva
in poltrona" con la sua nudità sospesa al cielo e al mare e col
controcanto di un nudino a destra che si sporge con grandioso pudore. "Due
donne ferme che vanno" si portano in grembo la barca di un viaggio virtuale,
coloratissime, con i panni vivaci sul capo quali pesi giocondi e tremendi legati
all'esistenza. Poi "L'attesa tra i tessuti" è solo il ventre
in verde marcio di colei che attende un figlio, e lo attende tra i gialli e
celesti che cantano per decorare l'evento del venire al mondo. E poi la "Bambina
che gioca" sul suo mare di barchette, con i bianchi che avanzano a celare
i pericoli e i rischi, insieme al "Pic-nic in casa" che trascende
il senso della festa perché l'unica ciotola impoverisce la tavola e
il pavimento in bianco e nero sprofonda nella memoria antica dei tasti di un
vecchio pianoforte di casa.
Non saliranno nei cieli la madre e la bimba bellissima della "Maternità" tra
il ricordo del vecchio abito a pallini e i risvolti bianchi che indurrebbero
a scartarli per scoprire anche altre cose, mentre "Donna, campagna e mare" si
stenderà, in orizzontale per offrirci la materia di un prato infinito
e un "Cavallino con bambino" dal cappellone colorato diventa con
le sue ruote un giocattolo di un età ormai perduta. E poi bambine che
si smarriscono tra le pieghe in bianco e nero oltre alla bimba che "Sa
già tutto" dagli occhi disincantati e dal grande nastro tra i capelli.
Non so se sto presentando una mostra o se vado cercando tra i pensieri di Milena
una sua idea di bellezza. Ci diciamo stasera che va cercata dov'é. Le
combinazioni che la provocano sono infinite. Nel suo "cestino" vanno
messaggi che poi, accartocciati, divengono "cestinature". La memoria
ce li fa recuperare, meritano rispetto. Sono messaggi che celano una parte
di se stessi : qualcuno dovrà scoprirla. Anche nella precarietà di
un simbolo può nascondersi la fede in ciò che si fa. I nostri
gesti si sacralizzano nel momento in cui li carichiamo della nostra verità,
come fa Milena.
Dopo aver salvato la sintassi della pittura, ovviamente.